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I fratelli Peri

Ultima modifica 3 maggio 2023

I fratelli Peri (da: “Storia della Valle Sabbia” – di U. Vaglia, ed. Baronio)

…. La Pertica, il Savallese, le Coste di S. Eusebio erano piene di buli e tra i luoghi più noti delle loro imprese si ricordano Camere, Dosso dei Morti, Magno ed il Budellone di Tormini. Il detto “ci rivedremo a Camere” equivaleva a quest’altro: “ Ti farò la pelle”.

Il Budellone di Tormini ed il Passo di S. Eusebio erano terrorizzati dalla banda dei quattro fratelli Peri di Gavardo. I Peri erano robusti, coraggiosi e molto belli, ma erano cattivi. Possedevano una sola casa, anche questa gravata dai debiti e volevano vivere da gran signori. Nessuno, in Gavardo, bevevo vino migliore e mangiava meglio di loro. Vestivano abiti che li uguagliavano ai più ricchi di Salò e Brescia. Per avere buon vino intimavano ai diversi proprietari, nel tempo della vendemmia, di mandare loro un tino di uva della migliore “per non fare torto a quella che altri manderanno”. E soggiungevano: “ Fatti onore se ti piace godere in santa pace quello che possiedi e se ti è cara la vita”.
Tutti tremavano ed ubbidivano perché sapevano che i Peri godevano la protezione del conte Lana di Brescia, uomo molto potente a Venezia essendo un capo spia. Tutti fremevano, tutti cercavano di farli punire, ma invano. Il conte Lana diceva: “Questi quattro fratelli amano la Signoria Veneta e sono pronti per essa ad affrontare ogni pericolo. I nemici della Signoria, li detestano e li calunniano, vorrebbero farli punire come ladri onde possano dire agli altri nemici del governo: - Che ne cavate ad amare un governo che lascia impiccare i suoi più fidi per ladri ? – Io garantisco dell’onoratezza loro”.
Ovunque assalivano e spogliavano i viandanti, ma il teatro preferito delle loro brigantesche imprese erano le Coste di S. Eusebio ed il Budellone di Tormini. Uno dei fratelli custodiva la casa ove portavano ciò che avevano catturato e le masserizie rubate nella case dei facoltosi. I risentimenti e gli odi contro i Peri crescevano, ma essi continuarono per molti anni la loro vita scandalosa e rapace tanto potente era il loro protettore. Se i Peri erano malvisti in Gavardo, loro patria, erano però corteggiati ed accarezzati dagli osti e dagli oziosi ai quali davano grandi utili.

Ogni diciotto mesi, o come si diceva allora “ogni anno signorile”, la Repubblica Veneta mandava a Brescia un capitano ed un vice podestà. Venuto un nuovo capitano amante della giustizia, viste tante denunce ordinò l’arresto dei Peri. Il conte Lana si presentò al nuovo capitano, intesse, come aveva fatto con i precedenti, l’elogio dei Peri ed offrì una grossa somma di denaro perché fossero posti in libertà. Gli altri capitani, o per bisogno o per viltà, avevano sempre condisceso al Lana, ma il capitano allora insediato a Brescia rispose: “Solleciterò il processo contro i fratelli Peri, e se trovati senza colpa, saranno tosto liberati senza alcun compenso, come esige la giustizia. Quanto a me, io non abbisogno di denaro, né l’amo: sono qui per fare giustizia e comandare la Provincia di Brescia in nome del Serenissimo Principe, non per compiacere questo o quel cagnotto bresciano.
Lei mi sembra uno di quelli che meritano un freno”.

Il conte Lana capì che la musica era cambiata ed escogitò altri mezzi per liberarli. Sapeva che l’arciprete di Gavardo aveva mandato molte denunce e che il capitano ne faceva gran conto perché l’arciprete era noto per la sua probità. Andò a trovare i Peri in carcere e disse: “Uno di voi deve questa notte uscire di carcere, mostrarsi domani alla gente di Gavardo nell’ora che il parroco lascia la canonica per entrare in chiesa a celebrare la messa solenne, ucciderlo e poi montare in carrozza chiusa per ritornare in carcere. L’arciprete, ucciso al cospetto di tutti in pubblica piazza desterà somma indignazione e farà più acri i rapporti contro l’uccisore, già noto. Io dirò allora al capitano: - Vede come i Peri sono accusati a torto? Si attribuisce l’uccisione dell’arciprete in Gavardo a uno dei fratelli: ciò è manifestamente falso perché sono in carcere da un mese per ordine di S.S. Ill.ma. Venga e vedrà che io ho asserito la verità e che proteggo gli innocenti oppressi e non i bricconi, come sospettava di me”.
Ai Peri piacque lo stratagemma e volevano uscire insieme, ma il conte Lana si oppose e spedì a Gavardo quello che più gli ispirava fiducia. Al carceriere disse: “Concedimi quest’uomo per ventiquattro ore. Ti garantisco che tornerà in carcere, prendi dieci zecchini come caparra di una somma maggiore, se mi compiaci”. Il carceriere rispose: “ Lei signor conte, ha sì belle maniere di comandare che non le si può negar cosa niuna”. Poi accennò ad uno dei Peri di seguire il conte. Questi, come aveva progettato, mandò il Peri a Gavardo, in carrozza chiusa, e lo fece riposare nella sua casa fino a quando tutto il popolo fu entrato in chiesa per la messa cantata di Pasqua.
Ma l’arciprete, udito che uno dei Peri gli tramava un’imboscata, non volle uscire di canonica.
Allora il sindaco di Gavardo, ad alta voce pronunciò queste parole: “ Non c’è alcuno tra voi che abbia il coraggio di uccidere lo scellerato Peri?”. Essendo state queste parole dette in chiesa ad alta voce, un giovane di diciassette anni, chiamato Pepoli, credette che Dio parlasse in lui per mezzo del sindaco, e che Dio l’avrebbe assistito nell’uccidere un uomo cattivo che faceva restare senza la messa tante anime in un giorno come quello di Pasqua. Si presentò al sindaco e disse: “ Se me lo comandano, io lo uccido tosto, giacché niun altro vuol assumere questo incarico”. “ Ma tu sei debole e giovane assai per atterrare un Peri”.
“Dio è meco”. Ed uscì di chiesa. Si accostò al Peri e gli disse: “ Ascoltate una parola ..” e ciò facendo gli levò il pugnale e glielo immerse nel cuore. Il Peri cadde morto. Il giovane alzò il pugnale sanguinante, e volto verso la folla che incuriosita usciva di chiesa, gridò: “ V’è qualcuno che voglia difendere il Peri ? Questo pugnale è per esso ancora !”.
L’arciprete andò a celebrare la messa e pronunciando l’omelia mostrò al popolo come Dio sa liberare la terra dai malvagi servendosi talora dei più deboli: nessuno avrebbe mai pensato che un giovane di diciassette anni, senz’armi potesse uccidere l’armigero e forte Peri.
Il capitano di Brescia, udita la cosa, volle conoscere se i quattro Peri erano in carcere. Non ne trovò che tre. Chiamò il conte, ancora ignaro dell’accaduto, che tentò di convincere il capitano dell’innocenza dei suoi protetti. Ma il capitano gli impose di tacere, gli narrò la morte del Peri che voleva uccidere l’arciprete e la spontanea confessione dei tre fratelli carcerati quando seppero la morte del loro primogenito colpito in modo così straordinario. Dissero: “ Meritiamo mille morti, non una, tante furono le aggressioni da noi fatte, la più parte sulle Coste di S. Eusebio”.
“Ma che ne facevate di tanti denari ?”.
“Buona parte li demmo al conte Lana perché ci difendesse. Ma ora Dio entrò di mezzo e tutto è finito”.
Il capitano sentenziò: “ I tre fratelli saranno impiccati sul luogo delle loro aggressioni, i loro cadaveri restino appesi usque ad consummationem: Riguardo al Lana scriverò alla Signoria perché capo spia. Perdono al carceriere perché la sua infedeltà ci ha permesso di scoprire una grande trama contro il buon governo”.

Correva l’anno 1794: chi passava per le Coste di S. Eusebio, vedeva tre uomini attaccati a tre alberi che sembravano messi lì “ per far paura all’orso”. Quelli del luogo, interrogati dicevano: “ Sono diversi anni che non puzzano più, ma nel primo anno puzzavano forte. Ora non ci sono che le ossa che stanno unite perché gli abiti sono cuciti”.
Consumatisi anche gli abiti si raccolsero le ossa e si posero in una cassa che venne appesa ad uno dei tre roveri e lasciatavi fino alla rivoluzione del 1797. In quell’anno furono sepolti dai Cisalpini. Il governo veneto credeva, a torto, che la vista dei ladri impiccati atterrisse gli altri. Il governo provvisorio del 1796 trovò il modo d’impaurire i ladri fucilando il reo entro ventiquattro ore dalla sentenza. Una giustizia così pronta sembra fece fare cervello a molti.

Alcune donne di Agnosie asserirono d’aver ricevuto grazie per l’intercessione delle anime dei Peri impiccati. Ci volle un energico intervento del parroco perché le grazie dei ladri finissero.


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