L'apparizione di S. Antonio
Ultima modifica 3 maggio 2023
L'apparizione di S. Antonio (da: “Leggende e Storie di Caino – Biblioteca Comunale 1979)
Quel pomeriggio, quando l’incendio divampò, il Follo era deserto. Era domenica, infatti, e gli operai della cartiera non lavoravano. Anche i contadini, che da poco aveva portato al sicuro l’ultimo carro di fieno, erano andati in paese per le sacre funzioni e per qualche ora di svago.
Il fuoco, che a lungo aveva covato sotto gli stracci e la carta, guizzò improvviso, si allargò rapidamente e favorito da sterpi disseccati si preparò ad assalire la colombaia. In quei mesi l’erba era cresciuta abbondante ed ora c’era fieno in ogni angolo. Anche sotto il tetto della chiesa di S. Giovanni Battista era stato ricavato un fienile che ora, ricolmo ed aperto, spandeva per la contrada un intenso profumo.
Unico superstite del Follo era un certo Batistì, rimasto suo malgrado. Quel giorno aveva mangiato come non ricordava da anni e naturalmente alzato un po’ il gomito. Ora era piacevole starsene sulla loggia, al fresco, sonnecchiando, mentre fuori il sole di luglio arroventava la strada.
Quando, tra un pisolino e l’altro, alzò la testa dal tavolo, non colse immediatamente la stranezza di ciò che vide: un fraticello passeggiava tranquillamente sul tetto della chiesa, vestito di saio, con il cordone bianco ed un breviario aperto tra le mani
Ci volle un certo tempo perché la mente annebbiata di Batistì afferrasse l’eccezionalità della cosa. Balzò dalla sedia facendosi il segno della croce: mai più avrebbe ecceduto con il vino in avvenire!
Ma il fraticello era sempre là, sulla chiesa, che curvo sul breviario, passeggiava avanti ed indietro.
Anche Batistì, inconsciamente, fece qualche passo sulla loggia per seguirne i movimenti. Fu allora che, completamente sveglio, percepì l’acre odore del fumo e vide il Follo circondato dalle fiamme. Si precipitò di sotto, rotolando per l’ultimo tratto di scale e piombando in cortile in una nuvola di polvere. Si attaccò alla campana suonando come un disperato.
In paese gli uomini si guardarono scambiandosi una muta domanda, poi il fumo che si levava rese evidente la natura di quel messaggio. Accorsero in molti e tutti furono testimoni di quel fatto miracoloso: il fuoco aveva stretto in un cerchio la chiesa, ma le fiamme s'innalzavano diritte verso il cielo, quasi non volessero toccare le pareti del sacro luogo. Neppure una scintilla era caduta sul fienile, miracolosamente intatto. Era come se il piccolo frate che ancora sul tetto pregava, avesse steso intorno un'invisibile barriera contro il fuoco.
Quando i primi secchi d’acqua, passando di mano in mano attraverso una catena che arrivava al Garza, furono rovesciati per frenare l’incendio, il frate scomparve: la sua missione era finita.
Per molte ore gli uomini lottarono, ma alla fine ebbero ragione delle fiamme. La cartiera e la colombaia avevano subito danni, ma non irreparabili ed erano salvi il lavoro e la fatica di tanta gente. Anche il raccolto fu in gran parte salvato, I dipinti del Follo furono in quell’occasione parzialmente rovinati, ma la chiesa non aveva subito il minimo danno. Tutto questo, si convenne, grazie al fraticello che aveva dato l’allarme, attraverso Batistì, e protetto la casa del Signore.
La gente vide nell’umile frate S. Antonio in persona, venuto in soccorso.
Per riconoscenza la chiesetta del Follo venne dedicata anche a S. Antonio Abate, considerato patrono dei cartai e dei contadini e un quadro che lo rappresentava fu commissionato dagli abitanti della contrada come ringraziamento e ricordo dell’avvenimento.