L'orbo de Nae
Ultima modifica 3 maggio 2023
L'orbo de Nae (da: “Storia di Nave” di mons. P. Guerrini)
L’orbo de Nae non è un personaggio leggendario, creato per burla, ma è stato il soprannome di un certo Pietro Ronchi, figlio di Giovanni Battista e di Caterina Barlanghioni, nato a Caino nel 1780.
Mons. Fè d’Ostiani, che di lui tratta in un breve capitolo dei suoi Proverbi storici bresciani illustrati, dice che l’orbo de Nae fu un uomo a cui la mancanza della vista, perduta da bambino per vaiolo, non recò il minimo impaccio nello svolgimento delle sue attività materiali ed intellettuali.
Il Ronchi dimostrò prestissimo una mirabile vivacità e prontezza di mente, una grande memoria e raffinatezza di tratto e di udito, per quella mirabile disposizione della provvidenza divina che supplisce al difetto di un senso col perfezionare gli altri sensi.
Giovinetto girava da solo tutte le vicinanze del paese natio e, senza guida, passava in ogni contrada ed entrava in ogni casa. Si cattivò la compassione e l’affetto del sacerdote Faustino Borra, coadiutore parrocchiale a Caino, il quale, riscontrandolo ricco di belle doti naturali della mente, con grande pazienza, lo istruì nelle lettere italiane e latine, onde il Ronchi poté in breve tempo divenire scrittore facile ed ornato. Si diede quindi ad aiutare quei contadini, allora in gran parte analfabeti o quasi, che dovevano ricorrere alle autorità civili, militari o ecclesiastiche, dettando memoriali, petizioni, ricorsi e difese in forma elegante e precisa e per meglio mettersi in grado di sbrigare queste incombenze che gli venivano affidate, andava di frequente da Caino all’ufficio comunale di Nave, dove il segretario lo teneva informato delle leggi e disposizioni governative che venivano pubblicate e che il Ronchi riteneva subito nella sua prodigiosa memoria.
Consultava e discorreva volentieri con gli uomini di legge ed era ritenuto da suoi compaesani quasi un mezzo avvocato. Andava frequentemente tutto solo, a piedi con un leggero bastoncello, da Caino a Brescia e saliva senza esitazione ai principali uffici governativi, facendosi annunciare, ora a questo ora a quello dei magistrati per perorare le cause dei suoi clienti, dimostrandosi esperto conoscitore di leggi e di regolamenti.
Era assiduo ed esemplare frequentatore della chiesa. Sapeva bene a memoria tutti i salmi che si cantavano nelle feste dell’anno, anche quelli che raramente ricorrono nel rito, conosceva tutte le epistole e i vangeli delle domeniche e feste principali, tutte le lunghe salmodie della settimana santa, e gran parte della Sacra Scrittura, e apertamente brontolava in chiesa quando sentiva qualcuno leggere o cantare male, fosse pure il prete celebrante o qualcuno dei sacri ministri. Dopo tutte le funzioni teneva conversazioni sul sagrato: era facile alla critica e sapeva talvolta sostenere con sagace disinvoltura certe massime speciose con un’erudizione sua propria e con certe citazioni, o da lui improvvisate o inventate, che facevano effetto sui suoi bonari ascoltatori.
Il Ronchi non aveva casa propria, ma per generosa bontà dell’arciprete di Caino godeva di alloggio gratuito in canonica e mangiava or qua or là presso quelle famiglie alle quali prestava servigi con l’esercitare i figlioli nella lettura e nelle altre materie di scuola, o col patrocinio legale dei loro interessi. Quelli di Caino usavano dire: el nost orbo el gha et de piò dei alter, e non avevano torto.
Visse per qualche tempo anche a Brescia, dove tutti lo conoscevano, ma pochissimi sapevano il suo vero nome perché comunemente era chiamato: l’orbo de Nae, mentre a Nave lo chiamavano l’orbo de Caì e a Caino soltanto l’orbo.
Divenuto infermiccio visse l’ultimo anno della sua vita elemosinando, e raccolto poi nell’ospedale di Brescia vi morì il 21 aprile 1841.
Si spegneva così un’umile ma nobile vita, che avrebbe potuto brillare di ben altra luce se la fortuna gli fosse stata benigna.